News03 giugno 2020 18:51

Conte, e i rischi che non dice

Abbiamo avuto comprensione per Giuseppe Conte, in questi difficili mesi. Non sempre abbiamo condiviso le molte conferenze stampa convocate per annunciare provvedimenti ancora da approvare, come non abbiamo condiviso la nomina e la difesa di Arcuri né, tantomeno, l’operato del “supercommissario”

Conte, e i rischi che non dice

 

Abbiam provato a metterci nei suoi panni, quelli scomodi di un primo ministro piuttosto estraneo al gioco della politica che si è trovato a gestire per primo in Occidente un’epidemia sconosciuta che ha mandato gli ospedali al collasso, con medici infermieri OSS e farmacisti senza i dispositivi di protezione individuale e anziani lasciati a contagiarsi e a morire nelle case di riposo.  

Ha dovuto combattere contro il protagonismo sconsiderato di molti presidenti di Regione, tenere incollata una maggioranza tanto spuria quanto scontenta di stare insieme, fronteggiare gli attacchi di Salvini e Meloni che, comodamente seduti sui banchi dell’opposizione, han potuto permettersi di dire tutto e il contrario di tutto certi del consenso offerto dal più grande alleato: la disperazione.

Conte sta parlando alla Nazione di nuovo in questi minuti, e alcune cose ci sono piaciute: ci è piaciuto sentir parlare finalmente di distanziamento fisico (che quello sociale ci pare già fin troppo evidente) e ci è piaciuto l’intervento contro Autostrade per l’Italia.

Quel che continua a turbare però è la vaghezza del progetto per il Paese, se progetto c’è, e soprattutto dei tempi previsti per attuarlo. 

A fronte delle manifestazioni che stanno riempiendo in questi giorni le piazze italiane è quasi pericoloso dare per scontati i miliardi europei - che ancora devono esser negoziati - senza considerare che, per bene che vada, questo fiume di soldi raggiungerà l’Italia (col rischio che finiscano dritti nelle mani delle mafie) a metà del 2021. 

Le persone chiedono soluzioni nel frattempo, e noi non invidiamo il presidente del Consiglio che però, usi pure tutte le task force che vuole, queste soluzioni deve trovarle prima di settembre, quando potremmo dover assistere a una rivolta sociale  in piena regola. 

Possibilmente non coi tempi di Invitalia né col ponte sullo Stretto, che fare il buco per riempire il buco sicuramente sprona l’economia ma anche un occhio a quel che serve al Paese non guasterebbe (vedi Tav). 

E quel che serve è più lavoro e meno inquinamento (con meno cancri a premere sulla sanità pubblica), più scuola e più ricerca: in poche parole più attenzione al futuro e all’Italia che lasceremo a quelli che verranno. 

Sperando che non sia solo ‘ndrangheta e miseria.

LNS