“Domani” invece Arcuri lo tocca, e non per la prima volta: per confermare, ce ne fosse stato bisogno, che ogni giornale che nasce è una ricchezza in più per la democrazia oltre che per l’informazione.
Trocchia ricorda quel che, tutti presi dall’emergenza gestita tra l’altro proprio dal nostro, si tende a dimenticare: la Guardia di Finanza negli uffici di Invitalia il 29 settembre, mentre lo stracommissario era in TV a tesser le lodi del governo e soprattutto di se stesso.
Il motivo è noto: la Corte dei Conti laziale era intervenuta sullo stipendio d’oro di Arcuri, che per diversi anni avrebbe percepito emolumenti più alti di quelli stabiliti dalla legge (circa 600mila euro l’anno) assieme ai suoi collaboratori del CDA della partecipata la cui stessa esistenza è inutile, dal momento che in Italia c’è un Ministero per finanze ed economia che infatti possiede Invitalia stessa.
Arcuri dichiara che è tutto in regola, grazie a una legge in tipico stile italico che consente alle società che emettono strumenti finanziari di derogare al tetto dei compensi.
E non ha restituito la cifra.
Ora indagano la Corte dei Conti e la Guarda di Finanza.
Quali che siano le risultanze delle indagini, inquieta che uno degli uomini più potenti d’Italia in questo momento delicatissimo sia oggetto di un’indagine per questi motivi.
E che nel mondo dei media, sempre prontissimo a snocciolare numeri su contagi, morti e ricoverati, questo abbia così poca risonanza.