Lo chiede da tempo l’associazione Amici del San Paolo: un’idea che è stata portata avanti, per esempio, dall’Humanitas di Milano con l’Emergency Hospital 19 e all’ospedale Parini di Aosta.
Il padiglione appartenente al nosocomio savonese potrebbe garantire il riparo dall’infezione all’ospedale generalista (che, lo ricordiamo, è già stato toccato dal virus) e garantire così il funzionamento sia delle terapie covid che delle altre.
Oltre al covid, infatti, le persone continuano ad andare soggette a infarti, ictus, incidenti e tumori. Ricordiamo l’allarme lanciato dagli oncologi pochi giorni fa su quasi un milione e mezzo di screening saltati: una lacuna nella prevenzione di malattie gravi i cui risultati sul medio periodo preferiamo non immaginare.
Un padiglione che permetta di separare gli infettivi dagli altri è un’opportunità che non tutti hanno, e utilizzare il Padiglione Vigiola per i malati covid significherebbe inoltre rispettare la volontà dei donatori, che avevano chiesto esplicitamente fosse dedicato alle cure sanitarie e invece ospita inamovibili (?) uffici.
In aprile sembrava cosa fatta. Il Decimonono titolava “Savona, l’ospedale San Paolo torna al passato: un padiglione per le malattie infettive”.
Poi l’euforia estiva deve aver fatto sì che il virtuoso progetto passasse di mente: ma gli ospedali moderni, ricorda il dottor Giampiero Storti - presidente dell’associazione Amici del San Paolo - “sono stati pensati monoblocco perché ci si è dimenticati delle epidemie e delle pandemie. La storia ci insegna che i lazzaretti erano nelle isole o fuori le mura per salvare la popolazione dalla lebbra, dalla peste, dal colera; nulla è cambiato nei comportamenti di prevenzione”.
La storia insomma non ha insegnato nulla, e in Liguria ancor meno che altrove.