Cultura14 novembre 2020 16:10

Auguste Rodin a 180 anni dalla nascita

Il 12 novembre del 1840 nasceva a Parigi uno dei più importanti scultori di sempre (di Chiara Pasetti)

Auguste Rodin a 180 anni dalla nascita

 Quali sono le sue fonti di ispirazione?

- La donna

E poi?

- La donna (1)

Il 12 novembre del 1840 nasceva a Parigi uno dei più importanti scultori di sempre: François-Auguste-René Rodin.

In occasione del centenario della morte, avvenuta il 17 novembre del 1917, erano state organizzate diverse mostre non solo in Francia, tra cui L’exposition du centenaire visitata da chi scrive presso il Musée Rodin, che contava più di duecento opere nonché sculture e disegni di Bourdelle, Brancusi, Picasso, Matisse, Giacometti e molti altri. Quest’anno a causa dell’emergenza sanitaria mostre ed eventi programmati, a lui dedicati, sono stati rinviati.

Gli esordi di Auguste Rodin non furono semplici. Iniziò a disegnare a soli dieci anni; ricorda che copiava incisioni e pagine di libri illustrati raffigurate sulla carta con cui un droghiere avvolgeva le prugne comprate dalla madre. A Parigi si recava spesso, giovanissimo, al Museo di Storia Naturale, dove studiava e disegnava scheletri di animali.

Cominciò presto a interessarsi anche alla letteratura. Leggeva soprattutto i classici (Omero, Virgilio, Dante, di cui disegnerà i gironi dell’Inferno e a cui si ispirerà per la celebre Porta dell’Inferno, straordinaria allegoria dell’amore e della dannazione da cui trarrà poi le singole sculture del Pensatore e del Bacio) e tra i contemporanei ammirava moltissimo Charles Baudelaire (negli anni ’80 illustrerà superbamente I Fiori del male) e Gustave Flaubert.

A quindici anni scoprì la scultura; nonostante i suoi mirabili disegni fallì per ben tre volte, nel 1858, all’esame di ammissione all’École des Beaux-Arts. Non era certo nel suo carattere scoraggiarsi e cominciò a lavorare per altri artisti, soprattutto nelle botteghe dei decoratori.

 Dal 1864 al 1870 si formò nell’atelier dello scultore Carrier-Belleuse, la cui abilità nel modellare era tale da far dire di lui che «Dio gli aveva messo uno scalpello in ogni dito». È a quel periodo che risale L’uomo dal naso rotto, rifiutato al Salon, e l’incontro con Rose Beuret, che sposerà soltanto poco prima di morire. Con lei avrà un figlio, Auguste-Eugène Beuret, a cui non darà il suo cognome.

Fondamentale il viaggio in Italia compiuto tra il 1875 e il 1876: resterà profondamente colpito dalle opere di Michelangelo, la cui influenza non tarderà a farsi sentire nelle sculture che realizzerà al suo rientro in Francia. L’età del bronzo, il cui modellato così perfetto ricorda quello dei bronzi del Rinascimento, venne esposto al Salon parigino suscitando scalpore: vi si volle vedere un calco dal vero, poiché la giuria «non poteva ammettere che uno scultore sconosciuto fosse capace di una tale opera», scrisse Mirbeau nel 1895. Tuttavia con quella scultura, e con la successiva San Giovanni Battista, che vennero acquistate dallo Stato, Rodin entrava finalmente nel cosiddetto système marchand-critique, e gli veniva affidata per la prima volta una commissione importate: una porta bronzea in basso rilievo per il nuovo Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Si tratta della Porta dell’Inferno.

Ancora una volta l’artista incontrò incomprensioni e polemiche: non gli si perdonava «di dare alla bellezza un accento vero ed eloquente di umanità», commenta puntuale e acuto sempre Mirbeau. A quest’opera Rodin si dedicò fino alla fine della sua vita, definendola «il diario della sua vita scolpita».

Nel frattempo conosceva la scultrice Camille Claudel, allieva e immediatamente anche musa e soprattutto passione tanto infuocata quanto  tormentata: una delle opere più intense composte nel periodo della loro relazione, su cui torneremo tra poco, si intitola Idolo Eterno. Scolpirà il suo volto in alcuni dei suoi busti più noti e Camille ricambierà con il Busto di Rodin (tutti esposti nella mostra parigina), che lo sconvolse per la capacità di lei di coglierne i sentimenti più profondi

Scrive, ammirato, il critico Mathias Morhardt a proposito del Busto di Rodin[2] eseguito da Camille Claudel (traduzione di chi scrive):

 

«La grande figura del maestro pare come infossata nella folta barba che si dipana e che, svolgendosi, forma il pesante basamento. I lunghi baffi cascanti nascondono la bocca ampia e timida, ma il grande volto dal naso dritto, dai sopraccigli prominenti, dalla fronte autorevole che si allarga al di sotto delle tempie sembra l’immagine della forza e della tenacia. Allo stesso modo, il collo nudo che dietro le orecchie riposa sulle spalle un po’ ricurve – le spalle di Atlante! – sorge come il fusto di una colonna che si eleva su fondamenta incrollabili.

È un’opera austera, notevole poiché da qualunque punto la si osservi i suoi profili sono sempre esatti, senza imperfezioni, correzioni, incertezze. In più ha di particolare il fatto che le masse sono tutte ugualmente modellate in rilievo e che i muscoli o le ossa non paiono assolutamente scavati in modo innaturale, o in modo troppo evidente. È un’opera ben ponderata, realizzata con pazienza; ogni dettaglio lo attesta. La pelle tesa e luminosa si anima per mezzo dei contrasti di luce e ombra, gli occhi chiari, dolci e penetranti, come protetti dall’arco profondo dei sopraccigli, guardano verso l’orizzonte. È, insomma, un’opera drammatica, che si presenta maestosamente come una costruzione granitica delle ere antiche. Nessun banale accorgimento prepara lo spettatore all’improvvisa evocazione della grande figura, la quale si impone in modo imminente, immediato, inevitabile.

La malinconia che ne emerge fa pensare a una qualche statua di Prometeo ritrovata come per miracolo».

 

«Il corpo», affermava Rodin, «è un calco su cui si imprimono le passioni».

 

La grande opera I Borghesi di Calais, a cui collaborò anche Camille, presentata in occasione dell’Esposizione Universale del 1890, ne consacrò la fama, anche se bisognerà attendere altri dieci anni per la sua prima grande mostra, che comprendeva circa 150 opere.

Visitata anche da Matisse e Picasso, recensita entusiasticamente da tutti i più grandi critici d’arte dell’epoca, quest’ultima sanciva definitivamente l’affermazione internazionale di Rodin.

Trascorrerà i suoi ultimi anni presso la splendida villa dell’Hôtel Biron a Parigi, oggi sede del Musée Rodin, lavorando ancora accanitamente con lo spirito del «sognatore il cui sogno saliva lungo le mani» (sono parole di Rilke, che gli ha dedicato pagine sublimi), e spostandosi sempre di più verso un’accentuazione del «non finito» e un’attenzione sempre più importante al ruolo della luce, a cui affiderà la capacità di cogliere la psicologia del soggetto in un modo che è stato definito «espressionista».

***

Sulla «violenta passione», come la definisce proprio Rodin, tra lui e Camille Claudel si è scritto tanto, anche troppo, è stata indagata, analizzata, psicoanalizzata, talora con esiti interessanti, da molti studiosi; le loro vicissitudini sono ormai patrimonio della cultura comune.

Eppure negli articoli su di lei si parla sempre lungamente di lui, al contrario quando si ricorda  il maestro si trovano in genere solo pochi accenni all’importanza che Camille ebbe nella sua vita, non soltanto sul piano sentimentale.

La loro relazione è fissata per sempre nelle opere di entrambi: Rodin, che nel momento del loro incontro ha aperto il suo stile al lirismo, inaugura un ciclo nuovo con L’Éternelle idole, e il corpo di Camille è quello della sublime La Danaïde. Ed ecco La Pensée, L’Aurore, i numerosi Portaits dell’uno, e gli schizzi di Rodin al lavoro e poi il celebre Buste de Rodin dell’altra. Le loro idee e sentimenti si fondono e confondono, come nelle due sculture Jeune fille à la gerbe di Camille, del 1886, e Galatée di Rodin, del 1889[3]. L’uno è l’idea e l’altra la mano, l’una il pensiero e l’altro il corpo e viceversa, in un intreccio di intuizione e creazione estremamente fecondo e talvolta difficile, per chi voglia analizzare le opere nella loro totale autonomia e specificità, da districare.

Le sculture di entrambi negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta dell’Ottocento (ma anche quelle successive alla rottura della loro relazione, avvenuta intorno al 1892) sono la testimonianza di quanto stretta e fondamentale sia stata la loro storia sia artistica che sentimentale, e di quanto la loro separazione abbia segnato le reciproche esistenze in modo inesorabile. Se la presenza-assenza di Rodin non smetterà di ossessionare Camille fino alla fine della sua vita lo stesso Rodin, in sogno e in scultura, continuerà ad essere abitato dal pensiero, dalla «visione» di Camille.

Una splendida opera di Rodin del 1906-1907 è intitolata Dernière vision, e anche L’Étoile du matin e Avant le naufrage. Il critico e storico d’arte Armand Dayot aveva chiesto allo scultore di realizzare un busto per commemorare Maurice Rollinat, morto nel 1903, autore, tra gli altri, della raccolta Les Névroses, intrisa di tematiche simboliste quali il diavolo, la morte, il male, la lussuria. Rodin si rifiutò di lavorare senza il modello davanti e cominciò questa scultura, nella quale da un blocco di pietra grezza (il «non finito» rodiniano, di ascendenza michelangiolesca, è qui particolarmente evidente nonché struggente) emerge il volto di un uomo, dalla bocca aperta in un grido soffocato di disperazione, che si copre gli occhi con le mani. Sopra di lui, con i capelli sciolti e un’espressione di infinita dolcezza, si staglia il viso di una donna giovane, bellissima, che pare provenire da una visione onirica, da un remoto mai dimenticato.

Appoggiata al suo volto etereo una mano di uomo, grande e possente, ne sfiora il contorno fin sugli occhi che, chiusi, sembrano godere di quel contatto, di quella carezza, o forse stanno sognando. Da quale «ultima visione», da quale «stella del mattino», Venere luciferina o celestiale, da quale «naufragio» imminente le mani del vecchio (Rodin?) ne stanno proteggendo gli occhi? Che cosa, o meglio chi, non voleva (più), o temeva, di vedere?

Tremenda, e insieme magnifica nella sua ambigua eloquenza, una delle ultimissime opere di Rodin, cui lo scultore lavorò fino a pochi giorni prima di morire, che venne intitolata postuma Main de Rodin tenant un torse.  A chi appartiene quel busto di donna giovane, senza testa né braccia né gambe, che la mano rugosa dello scultore ormai anziano tiene stretta fra le dita?

Questa scultura mosse e «commosse» la sensibilità esasperata e geniale di Mario Praz, che trovandovisi di fronte alla National Gallery of Art di Washington, scrisse:

«è una mano estremamente rugosa, ragnata come un artiglio, che non avrebbe che da stringere la falce o la clessidra per essere un perfetto emblema di mortalità. Ma la mano arida e adunca non stringe una falce o una clessidra, stringe un piccolo tenero torso di donna, acefala e senza braccia, come una Venere curva nella sua conchiglia, o piegata ad acconciarsi le chiome grondanti delle onde da cui è emersa. Ed ecco, tutta quella superba parata di donne, quel Trionfo d’Amore del piano di sopra, precipita qui e si contrae in un torso ignudo di donna per rappresentare il rimpianto supremo nel Trionfo della Morte. Che cosa voleva significare Rodin con quella scultura, con quel gesto? L’appressamento della morte gli faceva rivedere come nel baleno d’un sogno tutto quello che c’era di più desiderabile nella vita? Erano sulle sue labbra le parole del vecchio Faust? Dobbiamo leggere nella scultura un memento mori […]? Carica di tale contenuto sentimentale non sarà arte pura questa, ma sul momento mi parve la più umana e commovente opere di tutta la galleria»[4].

Le parole di Praz, dal fascino torbido, cariche di «bellezza insidiata dalla morte» al pari dei temi squisitamente romantici e decadenti di cui si è tanto occupato facendo dialogare superbamente la letteratura e l’arte dell’Ottocento, sono il miglior commento a questa scultura di Rodin. Grazie a quel «demone dell’analogia», attribuitogli da Citati come il dono maggiore di un critico, Praz va a illuminare della mano scolpita, e del busto che stringe, le pieghe e i significati nascosti, le memorie dal sottosuolo, per restituircele sotto una luce sinistra, che sconcerta se si vuole pensare che quella donna sia, ancora all’ultimo, fino all’ultimo, la sua Camille.

 

Judith Cladel racconta che un anno prima di morire, nel 1916, Rodin, in seguito alla sua prima congestionale cerebrale, incapace di riconoscere la compagna Rose che lo assisteva al suo capezzale, le chiese:

«Dov’è la mia donna?».

Rose rispose: «Sono qui, non sono io la tua donna?», e lo scultore:

 «No, la mia donna di Parigi».

Inevitabile pensare che l’artista ormai anziano e malato si riferisse a Camille Claudel, che dal 1913 era in un manicomio nel quale morirà nel 1943, e con la quale il sogno d’amore, che tanto aveva saputo infondere nelle sue statue, resterà incompiuto.

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Qui riportiamo un video tratto dallo spettacolo MOI, di chi scrive, regia di Alberto Giusta, con Lisa Galantini:  https://we.tl/t-4MzCVMzqEw

In questo frammento Lisa Galantini recita una lettera originale di Camille Claudel a Auguste Rodin al tempo del loro amore.

 


[1] Aurel, Rodin devant la femme, Maison du livre, Paris 1919.

[2] Il busto di Rodin è stato esposto al Salon du Champs-de-Mars del 1892. È stato modellato tra il 1888 e il 1889. Rodin di rado posava, infatti l’opera dovette essere abbandonata più di una volta e poi ripresa. Ad un certo punto l’argilla si seccò ma fortunatamente si guastò solo dopo che si riuscì a farne un modello in argilla fresca. In questo modo l’opera poté essere conclusa sulla base di tale modello e fusa in bronzo.

[3] Vista la loro datazione pare non ci siano dubbi, per queste due sculture, circa la paternità dell’idea.

[4] Mario Praz, Il patto col serpente. Paralipomeni di «La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica», Adelphi, Milano 2013, p. 452.

 

Chiara Pasetti