News09 febbraio 2021 19:29

“Tagliata e bruciata per sentirmi viva e un po’ più amata”: essere giovani ai tempi del covid

È lungo, un anno di pandemia. Un anno di nuove regole, prima impensabili; di distanze fisiche e di mascherine, di abbracci e baci vietati, di bollettini e di paura

“Tagliata e bruciata per sentirmi viva e un po’ più amata”: essere giovani ai tempi del covid

Nessuno può dire di essere come prima, nell’Italia che si accinge a celebrare tra pochi giorni il triste anniversario della scoperta del “paziente zero”: la crisi sanitaria ha colpito ogni certezza e ogni abitudine, è diventata crisi economica e infine sociale. 

E se gli anziani hanno pagato il prezzo più alto in termini di vite umane, adesso sono anche i nostri (pochi) giovani a star male davvero: benché forti nel corpo, hanno dovuto rinunciare ai riti e ai ritmi della loro vita e faticano, forse più di altri, a vedere un futuro.

“La pandemia ha senza dubbio peggiorato le situazioni di fragilità. Stare compressi e chiusi in casa ha esasperato, in più si è perso il ritmo della vita quotidiana che regolarizza e, in qualche misura, rasserena. 

Sono aumentate le fobie, in alcune persone si è sviluppata una sorta di dipendenza dalla vita domestica (la cosiddetta sindrome della capanna, ndr). C’è un sovraccarico di pressione emotiva”: a confermarcelo sono Fabrizio Cerro - direttore della struttura complessa Psichiatria Ponente della ASL 2 e responsabile del Centro regionale per i disturbi del comportamento alimentare e adolescenza - ed Elisa Zanelli, medico psichiatra in forze presso il Centro Salute mentale di Albenga e responsabile della struttura interna, che quando le parliamo è reduce dalla notte di guardia nella struttura residenziale di Villa Livi a Pietra Ligure.

“Abbiamo diversi punti di osservazione - ci spiega il dottor Cerro - dal Pronto soccorso dove la guardia psichiatrica, sempre presente, ci passa le segnalazioni al Centro per i disturbi dell’alimentazione, alle strutture residenziali e diurne dedicate.”

“Pensi solo - prosegue - che facevamo delle attività basate sulla respirazione consapevole, e adesso il respiro è diventato una minaccia, un pericolo.” 

E se respirare, l’atto più naturale per gli esseri viventi, diventa minaccioso, la vita diventa davvero molto incerta. La pandemia spinge a vivere l"altro" come potenziale portatore di un pericolo, anziché di una risorsa. Un messaggio enormemente complesso da elaborare, per ragazzi che già hanno alle spalle una situazione complessa. 

Non più tardi di qualche giorno fa i giornali locali titolavano "Depressa per il lockdown infinito, studentessa savonese si ferisce in classe con un rasoio, mentre un'altra ragazza appena maggiorenne tenta di togliersi la vita”. 

Sempre più spesso si sente parlare di ‘suicidio da pandemia’, un dramma che per il 90% dei casi riguarda i giovanissimi, e il Savonese non fa eccezione: anche qui come altrove salgono impietosamente i ricoveri per autolesionismo, gli accessi al pronto soccorso per gravi crisi d’ansia, le richieste d’aiuto.

Nel 2020 l’incremento di tentativi di suicidio e di gesti autolesionistici da parte di giovani e giovanissimi (addirittura ci sono stati episodi che hanno visto come protagonisti ragazzi di 12 anni) è stato notevole, intorno al 30%, ma anche i disturbi alimentari sono un grido d’aiuto che non va sottovalutato: spesso si accompagnano infatti a tentativi di farsi del male anche in altro modo.

La ricerca della perfezione fisica può essere correlata anche all’uso smodato delle immagini nei social, un canale comunicativo che - osserva la dottoressa Zanelli - è cresciuto ulteriormente in questo periodo di forzato isolamento ed è legato alla sempre maggiore difficoltà che i ragazzi trovano nel “fare amicizia” nel senso che noi diamo al termine.

“Moltissimi ragazzi, per esempio, arrivano attraverso un problema alimentare - precisa Cerro - ma il vero bisogno a volte è un altro. Per questo abbiamo cercato di costruire un servizio di accoglienza e valutazione dei bisogni molto ampio. Più che ‘spegnere’ subito il bisogno tramite i farmaci, come un semplice sintomo, è importante creare una relazione di ascolto: loro cercano qualcuno con cui poter parlare”.  

Nel Savonese, grazie a un importante lavoro portato avanti per anni da un’équipe multidisciplinare - composta da più psichiatri, psicologi, infermieri, Oss, un tecnico della riabilitazione, una psicomotricista, con a volte l'intervento degli assistenti sociali - i giovani che finiscono nel reparto di Psichiatria non ci rimangono un istante più del necessario. 

Infatti il nostro territorio può contare su strutture residenziali specifiche per adolescenti e giovani adulti (Villa Livi negli spazi dell’ospedale Santa Corona a Pietra Ligure e Villa Bugna a Savona) e sulla struttura diurna di Villa Frascaroli, all’interno del Santa Corona, dove i giovani continuano - magari dopo una permanenza in struttura - ad essere seguiti con incontri, gruppi multifamiliari e laboratori di espressività (fotografia, arte, musica) dai risultati molto incoraggianti. 

L’ultima esperienza in ordine di tempo è stata quella, molto positiva, del laboratorio rap che si è concluso a dicembre: dopo un paio di mesi di incontri settimanali i ragazzi, seguiti da un rapper professionista, hanno dato vita a una canzone di cui ciascuno ha scritto un pezzo, esprimendo se stesso (al fondo trovate il link).

Un progetto riuscitissimo che - spiegano gli psichiatri - “ricomincerà a fine febbraio e che vorremmo rendere permanente, insieme ad altri che abbiamo in mente”. 

La pandemia ha necessariamente rallentato questo tipo di attività squisitamente sociali, che per il momento sono riservate ai ricoverati mentre i pazienti esterni sono seguiti tramite incontri individuali o con la propria famiglia. 

Uno degli impegni maggiori dell’équipe infatti è quello di aiutare ragazzi e genitori a riannodare un dialogo tra loro: coinvolgere le famiglie è fondamentale, perché spesso al sollievo dato dal fatto che il proprio figlio venga “curato” e soprattutto che “si curi”, accettando di buon grado un ricovero, può accompagnarsi un senso di inadeguatezza. 

La speranza è che, col proseguire della campagna vaccinale, possano ripartire al più presto anche per i giovani che non sono ricoverati i gruppi, ai quali in genere partecipano diverse persone importanti per la famiglia e anche gli animali domestici.

Come ci spiega il dottor Cerro, l’idea è di ampliare le attività insieme all’intera rete di supporto: “creare una cornice di sicurezza dove possano passare la bufera”, perché se l’adolescenza è già tempestosa di per sé, in questo momento lo è molto di più.

“Oltre alle strutture psichiatriche vorremmo creare una rete di interventi sul territorio partendo dai luoghi di ritrovo fisici (come il Centro Giovani di Savona, dove verranno implementate le attività) per arrivare anche a quelli virtuali. 

Per esempio utilizzare la rete per intercettare i bisogni, creando portali informativi appositi”: siti e spazi social ai quali i ragazzi possano rivolgersi per avere informazioni sugli argomenti che li interessano e dove si possa anche proporre un’offerta di aiuto che garantisca la discrezione data dall’anonimato tipico dello spazio web e che per questo sarà probabilmente molto apprezzata.

Un filo di Arianna ben strutturato per permettere ai giovani di uscire dal labirinto del covid e affacciarsi alla vita con fiducia, un lavoro che solo la Sanità pubblica permette di portare avanti e sul quale davvero varrebbe la pena di investire, perché si tratterebbe di un investimento per il futuro di tutti.

 

Giovanna Servettaz