Il mezzo dell'affermazione di questo modo d'essere avverrebbe attraverso l'espressione di una "Bro Culture" della fratellanza maschile sulla base delle cui affermazioni giovani maschi americani (magari di fede religiosa diversa, non soltanto di derivazione suprematista bianca) hanno votato il nuovo (ritornato) Presidente. Con tutto quello che ciò potrebbe comportare per l'avvenire del mondo.
Il rischio che stiamo correndo è quello che la lotta al patriarcato invece di muoversi in quadro di affermazione si trasformi in una battaglia difensiva che necessariamente ci porterebbe allo "status quo", se non ancora più indietro.
E' necessario affrontare il tema in tutte le sue sfaccettature e complessità non limitandoci alla semplificazione di una realtà di scontro come vorrebbero i fautori di questo ritorno all'indietro posto anche sul terreno dei livelli di coscienza.
Non esiste soltanto la violenza del possesso.
A questo proposito la nostra piccola e provinciale Savona ha vissuto, nella giornata del 24 novembre, un momento particolarmente significativo.
Nello scenario dell'antico Teatro Sacco, infatti, è andata in scena "Moi" una piéce teatrale di Chiara Pasetti interpretata in monologo da una straordinaria Lisa Galantini (regia di Alberto Giusta) : vi si narra la storia di Camille Claudel, straordinaria scultrice tra '800 e '900 tra l'altro musa di Auguste Rodin.
Camille Claudel è rimasta rinchiusa in manicomio per trent'anni dal 1913 fino alla morte avvenuta nel 1943.
Il suo dramma soggettivo è stato quello provocato dall'incontro/scontro tra uno sterminato talento e il rifiuto esercitato con violenza fin dalla prima infanzia, segnata sostanzialmente da un mancato riconoscimento.
Un dramma familiare quello provocato prima dall'atteggiamento dalla madre che intendeva sostituirla a un maschio perduto, in seguito trasformato in dramma sentimentale nella relazione con Rodin conclusasi anch'essa con un rifiuto e il trauma di una incomprensione di fondo tra l'essere e il desiderare di Camille.
Uno scontro tra l'essere e il desiderare esasperato fino all'apparente follia subito esaltata dalla repressione imperante nel sottofondo "benpensante" dell'epoca.
Un esempio di "violenza del rifiuto" non derivante semplicemente dall'espressione patriarcale ma che colpisce egualmente una donna perché donna e la lacera nel suo essere e nel suo talento fino a farle smarrire il senso della ricerca per la vita.
Nella considerazione di tutto ciò non sembra accettabile la sottolineatura di una contraddizione uomo/donna vista come semplicistica affermazione di una supremazia: la storia ci ha mostrato l'insufficienza dell'affermazione della lotta di classe; il futuro - pervaso dall'incognita stessa del ruolo dell'essere umano rispetto al rapporto coscienza /tecnica - ci riserverà delle sorprese sulle quali potrà essere possibile intervenire a patto di comprendere davvero la complessità delle sfide che ci attendono rifiutando - appunto - la semplificazione.
Per noi, porzione di mondo alla periferia dell'Impero, "Moi" ci ha aiutato a capire proprio questo dramma della violenza non esercitata soltanto dal patriarcato e non risolvibile soltanto in virtù dell'esercizio della lotta all'oppressione di classe come avremmo indicato un tempo con eccessiva facilità.