Accomasso, personaggio di grande levatura dal punto di vista storico, operaio che aveva partecipato al tentativo rivoluzionario in Germania tra il 1919 e il 1920 (moti spartachisti a Berlino, repubblica dei consigli in Baviera) era poi morto in circostanze misteriose nel 1924, probabilmente a causa di un attentato fascista avvenuto nel suo laboratorio di fabbro ferraio in via Niella.
Il lavoro di Milazzo è dedicato ad Accomasso con la consueta capacità di approfondimento e bene vi è disegnato lo scenario di contorno, della nascita del socialismo a Savona, dei personaggi che avevano animato quella fase, della complessità del dibattito che erano stati capaci di portare avanti protagonisti di assoluto valore come i sindacalisti rivoluzionari segretari della Camera del Lavoro poi assorbiti dalla ventata giovanilistica del nichilismo fascista come Michele Bianchi (poi segretario nazionale del PNF, implicato nell'omicidio Matteotti) e Alceste De Ambris (estensore materiale della "Carta del Carnaro", costituzione mancata del dannunziano stato di Fiume).
E' necessario però mettere in rilievo un punto in modo da farne soggetto fondamentale nella storia del '900 nella nostra Città: ed è quello del ruolo della classe operaia.
Nel lavoro di Milazzo si cita la composizione della lista elettorale con cui i socialisti vinsero le elezioni amministrative del 1920 conquistando 32 seggi su 40 :vigeva il sistema maggioritario per cui le prime due liste si spartivano maggioranza e minoranza e in quell'occasione rimasero fuori dal consiglio i liberali che pure avevano governato la Città per decenni), ed è stato ricordato che (a differenza di ciò che avvenne nel resto del Paese) dei consiglieri eletti la maggioranza, al congresso di Livorno del '21, scegliessero il neonato P.C.I. d'Italia (18 su 32: e questa fu anche una delle ragioni per la venuta di Gramsci a Savona allo scopo di fondare il comitato regionale ligure del Partito: a differenza di Genova dove la maggioranza era rimasta ai massimalisti di Serrati e Adelchi Baratono).
Questo itinerario ben documentato è abbastanza noto e ribadirlo non è stato lo scopo di questo modesto intervento che, invece, intende rivolgersi alla necessità di riflettere sul ruolo della classe operaia a Savona in quel periodo e su di un percorso carsico, attraverso il regime fascista, che avrebbe poi portato alla stessa classe ad esercitare un ruolo egemone nella ripresa democratica dopo la Liberazione: scriviamo della classe operaia delle grandi fabbriche, definita "forte", "stabile", "concentrata" alleata in un articolato blocco sociale con i portuali, soggetto comunque diverso e organizzato economicamente e gerarchicamente in autonomia in un ambiente di lavoro molto diverso dalla fabbrica.
La classe operaia savonese, protagonista nei tempi successivi alla conquista del Comune, dell'antifascismo e poi della Resistenza (va ricordato anche l'esito del plebiscito del 1929 quando la classe operaia del nord - ovest seppe esprimere 100.000 voti avverso il "listone" fascista) aveva saputo nel tempo imprimere una "identità" alla Città: Savona rappresentava una città del lavoro, dove l'etica operaia sapeva esprimersi in una espressione culturale al punto da assumere tratti di vera e propria egemonia: i tempi e i modi della vita della Città erano dettati proprio dall'etica operaia, capace anche di slanci d'avanguardia (pensiamo alle arti visive e alla comprensione di fenomeni derivanti anche dal futurismo : da Martini e Farfa) e trovava nel Partito Comunista, sempre presente nelle fabbriche anche nei momenti più difficili del massimo consenso per il fascismo, il suo riferimento.
Sicuramente non vanno dimenticate le contraddizioni che pure emersero crudeli e le difficoltà nelle possibilità di esprimersi: ma da Accomasso in avanti si svolse un percorso carsico che al momento della Liberazione portò la classe operaia savonese ad esprimersi come soggetto di governo fin dall'immediato post-25 aprile indicando "Drin" Aglietto come sindaco della Liberazione, e poi esercitando questa funzione per tutta la fase della ricostruzione post-bellica pur nella temperie della ristrutturazione dell'industria bellica, dei ridimensionamenti dovuti anche a scelte geopolitiche (Taviani soleva ripetere: "Savona ha sempre sbagliato la politica estera" alludendo al colore politico dell'amministrazione della Città).
Ciò nonostante l'impronta operaia ha resistito a lungo fino a quasi al mutamento definitivo di scenario con la fine della capacità dei partiti di fare "sistema" e l'avvento della società dell'immagine con il cedimento a una "de - industrializzazione" deprivante dei due beni per noi più preziosi: la memoria e l'identità.
Non possiamo però dimenticare quella lunga fase, attraversata con coerenza anche nella lunga vicenda della dittatura.
Dobbiamo continuare ad affermare che la classe operaia ha rappresentato davvero il soggetto più importante del nostro '900 e ancora oggi deve ispirarci in un'opera politica e culturale non finalizzata soltanto ad un recupero di memoria.