News30 dicembre 2024 17:31

Più armi, più guerre

Un allargamento del complesso militare industriale non fa che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti, mentre il governo di destra oscilla privo di un qualsiasi riferimento di politica estera che non sia quello di un richiamo antistorico ad una sorta di interventismo di ritorno contrabbandato come interesse nazionale (di Franco Astengo)

Più armi, più guerre

All'interno di un quadro complessivo di costante calo di produttività nel settore manifatturiero verifichiamo l'evidenziarsi di una torsione rivolta all'incremento dell'industria bellica e, nello specifico, di cessione di aziende verso proprietà di Paesi impegnati - direttamente o indirettamente - negli scenari di guerra in atto in situazioni nevralgiche dello scacchiere internazionale (Ucraina, Medio Oriente, Africa): è il caso della cessione di Piaggio Aerospace ai turchi, legati direttamente alla geopolitica del governo Erdogan, e costruttori principalmente di mezzi aerei (droni, aerei senza pilota) destinati a svolgere compiti offensivi.

La Liguria con Villanova d'Albenga, Genova, La Spezia si trova in primo piano rispetto a questo tipo di situazione che potrebbe presentare anche rischi proprio sul piano più specificatamente militare.

E' il caso di riflettere un attimo sulla situazione dell'industria militare in Italia.

Leonardo, la maggiore impresa militare italiana con oltre il 70% del settore, è ormai una multinazionale integrata alle compagnie Usa, dedita all’export (75% dei ricavi), al centro di complessi reticoli azionari. Fa affari d’oro, ma detiene una quota relativamente bassa dell’occupazione manifatturiera italiana.

La prima cosa che balza agli occhi è, infatti, il grado di concentrazione del fatturato dell’industria militare in poche aziende e la posizione dominante di Leonardo (ex Finmeccanica) in campo aeronautico, elettronico e degli armamenti terrestri, e di Fincantieri nella costruzione navale. Si tratta di due grandi imprese multinazionali (13° e 46° posto nella classifica SIPRI delle prime 100 aziende per fatturato militare) in cui lo Stato ha mantenuto una quota di controllo. I loro ricavi nelle produzioni militari (2022) raggiungono i 15,3 miliardi di dollari Usa, pari al 12% del giro d’affari del settore in Europa e a circa il 2,6% di quello mondiale. In Italia, concentrano insieme intorno all’80% del fatturato dell’industria militare. Una parte importante di questo fatturato è realizzato all’estero: per Leonardo in Usa, Regno Unito, Polonia e Israele, per Fincantieri in Usa.

Leonardo a livello globale ha 51.391 occupati (2022) distribuiti il 63% in Italia, il 15% nel Regno Unito, il 14% negli Usa, lo 0,5% in Israele e il 2,5% nel resto del mondo. Il gruppo è attualmente organizzato su otto aree di attività: elettronica, elicotteri, aerei, cyber & security, spazio, droni, aero-strutture, automazione. Ha una posizione di forza internazionale nel comparto elicotteri e nell’elettronica per la difesa; mentre in campo aeronautico opera principalmente come sub-fornitore di primo livello per i grandi produttori di aerei militari degli Stati Uniti. Il gruppo è ancora attivo nella produzione di armamenti navali e terrestri (ex-Oto Melara e consorzio con Iveco DV) e nel comparto navale subacqueo (ex-Wass). 

Fincantieri ha mantenuto la continuità con la storica azienda a partecipazione statale con il controllo dei maggiori cantieri navali del Paese. È la maggiore impresa occidentale di costruzioni navali, ha una forte attività nelle navi da crociera, ma tra il 2022 e il 2023 ha aumentato la quota di produzioni di navi da guerra dal 20 al 36% del fatturato totale, con 2.820 milioni di dollari di fatturato militare nel 2022, arrivando al 46° posto nella classifica SIPRI delle 100 maggiori imprese militari. 

Un settore in espansione internazionale è quello delle attività subacquee e, in questo ambito, Fincantieri è parte con Leonardo del polo nazionale guidato dalla Marina Militare Italiana a Spezia. Il settore della subacquea non significa solo sommergibili, ma anche esplorazione dei fondali e monitoraggio-sicurezza dei cavidotti e delle infrastrutture energetiche e di telecomunicazione sottomarine. Questo spiega l' acquisizione della Remazel Engineering, un’azienda ingegneristica con esperienza nei gasdotti e oleodotti sottomarini.

Le scelte di politica industriale dei diversi governi e le strategie produttive di Leonardo e degli altri protagonisti del settore hanno portato a più alte quotazioni di Borsa e a maggiori dividendi per gli azionisti, ma fanno delle produzioni militari un “cattivo affare” per l’economia e l’occupazione in Italia. In Italia come in Europa, un allargamento del “complesso militare industriale” non fa che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti, mentre il governo di destra oscilla privo di un qualsiasi riferimento di politica estera che non sia quello di un richiamo antistorico ad una sorta di "interventismo di ritorno" contrabbandato come interesse nazionale.

In questo senso il passaggio di Piaggio Aerospace ai turchi di Baykar non fa che alimentare legittime preoccupazioni: vocazione bellica, finanziarizzazione, interessi intrecciati a quelli geopolitici potrebbero rappresentare un ulteriore punto di sviluppo di crisi industriale nella rinuncia a una capacità di riconversione e questo avviene mentre ulteriori produzioni strategiche stanno abbandonando il Paese come nel caso di Portovesme, dove si producono principalmente zinco e piombo.

Su tutto questo fin qui descritto continua a stagliarsi l'ombra fosca del nucleare.

Franco Astengo