News27 febbraio 2025 13:16

Primo marzo

Savona ricorda gli scioperi del '44 (di Franco Astengo)

Primo marzo

L’Unità del 15 Marzo 1944, sotto l’occhiello : “La classe operaia all’avanguardia della lotta di liberazione nazionale” titolava :” Lo sciopero generale dell’Italia Settentrionale e Centrale è una grande battaglia vinta contro gli oppressori della Patria”.

 

In quella forma redatta in estrema sintesi, l’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano formulava un giudizio sull'esito dello sciopero delle grandi fabbriche, svoltosi il 1 Marzo di quell’anno: un vero e proprio punto di svolta nella Resistenza al Centro-Nord e che è necessario ricordare unendo nella memoria collettiva il pensiero di quanti, in quell’occasione, furono prelevati dalle fabbriche e portati nei campi di sterminio, Mauthausen in particolare.

L’intervento della Resistenza a sostegno dell’offensiva alleata del primo trimestre 1944 non si manifestò, infatti, soltanto con l'intensificarsi della guerra partigiana sulle montagne e nelle città.

Quando si sviluppa un tentativo di analisi storico - politica l’importanza e l’efficacia dell'apporto della Resistenza Italiana alla contesa bellica deve essere collegata anche alla vasta azione di massa condotta dalle classi lavoratrici.

Solo in quel modo, nella saldatura tra la lotta di montagna, quella di città e la presenza nelle grandi fabbriche, il movimento di Resistenza assunse in quella fase cruciale della guerra un ruolo decisivo alla vigilia dello sbarco in Normandia e mentre sul fronte orientale le truppe sovietiche stavano calando a marce forzate verso Occidente.

Fin dal gennaio 1944 nella consapevolezza di questa necessità di intreccio tra i diversi livelli della lotta la direzione del PCI per l'Alta Italia (Longo, Secchia, Li Causi, Massola, Roasio) tenne una riunione, alla quale intervennero anche i rappresentanti dei comitati d’agitazione che avevano diretto gli scioperi nel novembre - dicembre 1943 (Colombi per il Piemonte, Grassi per la Lombardia, Scappini per la Liguria) e decise di avviare immediatamente la preparazione di uno sciopero di vaste proporzioni, costituendo a quel fine un comitato di agitazione per il Piemonte, la Lombardia e la Liguria.

L’iniziativa venne poi discussa ampiamente con gli altri partiti del CLNAI, e in particolare con il Partito socialista e il Partito d’azione che s’impegnarono anch’essi nel lavoro preparatorio.

Seguirono settimane d’intensa attività per mobilitare al massimo le forze operaie e per coordinare l’intervento dei GAP, non solo nelle regioni del triangolo industriale, ma anche nel Veneto, in Toscana e in Emilia; questa estensione del movimento impose alcuni rinvii della data d’inizio, che infine venne fissata per il 1 Marzo 1944.

In campo fascista (ovviamente la preparazione di una iniziativa di così grande portata non poté essere condotta in totale clandestinità) l'iniziativa era considerata con rabbiosa inquietudine anche perché avrebbe significato di fatto il fallimento di una grossolana manovra propagandistica: la cosiddetta socializzazione della gestione delle imprese, che proprio in quei giorni (il decreto legislativo era stato e,amato 12 Febbraio) il governo di Salò aveva lanciato proprio nell’intento di placare l’ostilità delle masse operaie.

Le masse operaie delle grandi fabbriche del Nord accolsero con assoluta indifferenza il progetto di socializzazione, attorno al quale tuttavia i fascisti continuarono a orchestrare una rumorosa campagna propagandistica, sperando di riuscire così a richiamare prima o poi su di esso l’interesse dei lavoratori.

Una speranza che crollò miseramente di fronte alla prospettiva dello sciopero.

Considerata l’impossibilità di bloccare il movimento, le autorità fasciste tentarono di ridurne gli effetti diramando attraverso la stampa l’annuncio che alcune fabbriche piemontesi sarebbe rimaste chiuse per 7 giorni, a cominciare dal 1 Marzo, per mancanza di energia elettrica.

L’espediente, subito denunciato da un manifesto del comitato interregionale, non impedì che proprio a Torino e in Piemonte si registrasse una elevata partecipazione allo sciopero: 60 mila lavoratori in città e 150.000 in Regione si astennero dal lavoro.

A Milano scioperarono anche le maestranze della tipografia del Corriere della Sera e per tre giorni l’organo della grande borghesia lombarda non poté uscire.

La repressione tedesca fu dovunque feroce.

L’ambasciatore Rahn ricevette personalmente da Hitler l’ordine di far deportare il 20 per cento degli scioperanti.

Anche se il mostruoso provvedimento non fu eseguito nella misura indicata per “difficoltà tecniche inerenti ai trasporti” e per il danno che ne sarebbe derivato alla produzione bellica (come spiegò lo stesso Rahn) alcune migliaia di operai furono deportati nei campi di sterminio.

I fascisti s’assunsero il ruolo servile di esprimere la volontà dei tedeschi, rivolgendo minacciose intimazioni agli operai che continuavano ad astenersi dal lavoro.

A Genova, il capo della provincia Basile (lo stesso personaggio che, 16 anni dopo, sarebbe stato al centro dei moti genovesi contro il governo Tambroni, per via della decisione del MSI di fargli presiedere il previsto congresso nazionale di quel Partito proprio a Genova: congresso che proprio quelle mobilitazioni di piazza impedirono che si svolgesse aprendo la strada anche alla caduta del governo che gli stessi missini stavano sostenendo) lanciò un “ultimo avviso”, minacciando – appunto – la deportazione nei campi di sterminio (si trattava, secondo lui, di mandare gli operai a “meditare sul danno arrecato alla causa della vittoria"). La minaccia fu poi concretizzata il 16 giugno 1944 quando, a tradimento, 1.488 operai genovesi che stavano entrando nelle fabbriche per il primo turno furono portati via e condotti prigionieri in Germania.

Nella provincia di Savona parteciparono allo sciopero 5.200 operai: i nazifascisti compirono diverse retate e furono portati a Mauthausen e ai campi sussidiari di Gusen ed Ebersee diverse centinaia dei partecipanti allo sciopero, prima concentrati nella colonia del Merello a Torre del Mare poi alla Casa dello Studente di Genova e infine portati a Bolzano prima del passaggio decisivo in Austria dove la maggior parte di loro trovò la morte.

Lo sciopero fu una dimostrazione imponente di forza e di volontà combattiva : un movimento di massa che non ha trovato riscontro nella storia della resistenza europea.

Ai fini bellici la sua importanza non fu minore di un'azione di guerra, se si pensa che per otto giorni la produzione di guerra venne completamente paralizzata in tutta l’Italia invasa.

Il che equivalse per i tedeschi a una grossa sconfitta riportata sul campo di battaglia.

Non mancarono anche dalla parte degli operai debolezze e cedimenti: un fatto che non deve essere nascosto.

Complessivamente però è possibile riassumere il senso complessivo di quelle giornate (gli scioperi si conclusero come previsto dal comitato di agitazione interregionale l’8 Marzo) rileggendo quanto scritto, all’epoca dalla “Nostra Lotta”: “ Lo sciopero generale politico rivendicativo del 1-8 Marzo assume un’importanza e un significato nazionali e internazionali di gran lunga superiori agli obiettivi immediati che esso si poneva (che erano quelli salariali, n.d.r.); indica la strada da seguire nel prossimo avvenire in cui si annunciano grandi e decisive battaglie, in Italia e nel mondo, per l’annientamento del nazifascismo e la liberazione dei popoli. Gli operai italiani che l’hanno sostenuto, i lavoratori e i patrioti che l’hanno appoggiato, le organizzazioni che l’hanno preparato e diretto possono essere fieri e orgogliosi della grande battaglia combattuta: essa si iscrive fra le migliori pagine della lotta dei popoli per la propria libertà e costituisce una tappa decisiva per il risorgimento della nostra patria. I sacrifici di oggi sono il prezzo e il pegno del sicuro trionfo di domani”.

Gli scioperi del 1-8 Marzo 1944 assunsero anche un significato complessivo di indirizzo politico della lotta di Resistenza: il proletariato aveva assunto, in quell’occasione, un senso di “responsabilità nazionale” che stava dentro alle indicazioni dei partiti che componevano il CLNAI, facendo così convivere le istanze della liberazione della classe con quelle della vittoria sul nazifascismo e dell’avvento della democrazia.

Quello fu il compito di sintesi dei grandi partiti della sinistra italiana: far convivere, all’interno di un progetto politico che era appunto quello di un vero e proprio radicale rinnovamento della democrazia in Italia, le motivazioni di classe con quelle della Resistenza al nazifascismo.

Non a caso pochi giorni dopo lo sciopero, l'11 aprile 1944 Palmiro Togliatti (appena rientrato in Italia) in un suo intervento svolto nel cinema Modernissimo di Napoli lanciò la parola d'ordine del "Partito Nuovo": il PCI come grande partito di massa e non soggetto chiuso nella cerchia ristretta dei "rivoluzionari di professione". Così il PCI si avviava a compiere quel tratto di percorso che Gramsci aveva già indicato nelle tesi del III congresso del Partito a Lione nel 1926.

Nel corso di quella fase storica fu quello dei partiti della sinistra un non facile lavoro di indirizzo e di sintesi ,un lavoro realizzato anche in forme contraddittorie, ma che alla fine ottenne un risultato fondamentale: ancor oggi possiamo, infatti, affermare che alla base della democrazia repubblicana stanno le lotte operaie e la Resistenza.

In tempi davvero difficili per la democrazia italiana sottoposta ad attacchi molto duri di vero e proprio "revanscismo storico" ricordare oggi quelle giornate del marzo 1944 significa anche riaffermare quell'origine e quelle radici.

Resistenza, classe operaia, partiti della sinistra restano nella storia come stelle polari, punti di riferimento per chiunque oggi intenda ancora affermare i valori della democrazia, della libertà, del riscatto sociale, dell’eguaglianza.

Franco Astengo