I due temi di maggiore attualità sul piano internazionale sono sicuramente quelli legati alla crisi delle democrazie liberali e della crescita delle autocrazie e quello del riarmo che coinvolge i paesi presenti nei principali scacchieri strategici con particolare attenzione all'adeguamento tecnologico.
In questo contesto la Turchia rappresenta un paese - chiave emblema di una autocrazia (Erdogan è al potere dal 2014) assolutamente leader nell'armamento (la Turchia fa parte della NATO e dispone del secondo esercito dell'alleanza dopo quello USA) e situato in una posizione - chiave che consente da un lato una posizione mediatoria tra la Russia e l'Occidente e dall'altro di intervento diretto nelle questioni mediorientali più scottanti: l'esercito turco ,infatti, occupa una parte della Siria ed è ben presente nella guerra libica a bassa intensità a fianco del generale Haftar e quindi in contrasto con il governo di Tripoli riconosciuto dall'Occidente (anche se la definizione di Occidente in questo momento appare in forte discussione rispetto all'entità geopolitca tradizionalmente riconosciuta).
In questo momento la Turchia sta attraversando una grave crisi politica con la carcerazione del sindaco di Istanbul unico avversario possibile per Erdogan, grandi manifestazioni di piazza e repressione violenta di qualsiasi forma di dissenso.
Questo scenario va ricordato sia per generale dovere democratico ma soprattutto per i risvolti savonesi legati proprio al processo di riarmo (che procede al di là degli 800 miliardi previsti dall'UE per i diversi Paesi).
Infatti va ricordato che nei mesi scorsi Piaggio (stabilimenti di Villanova d'Albenga e Sestri Ponente) è passata sotto il controllo del gruppo turco Baykar specializzato nello sviluppo e costruzione di droni militari autonomi. Dopo sei anni di amministrazione straordinaria sui è verificata (con grande benedizioni del Ministero) la cessione di tutte la attività del gruppo Aerospace a Baykar, azienda presieduta da Seculk Bayraktar, genero di Erdogan, di cui fu testimone di nozze Silvio Berlusconi. Baykar, fondata nel 1984, ha reso la Turchia un attore centrale nell'industria dei droni militari, capace di conquistare due terzi del mercato mondiale anche grazie ai controlli meno severi sull'export : rispetto ai paesi occidentali e agli altri membri della NATO il governo di Ankara, infatti, pone meno restrizioni normative etiche e finanziarie agli acquirenti delle armi prodotte sul suo territorio. Si pongono così alla nostra attenzione almeno tre questioni dirimenti: 1) La vocazione bellica. I droni da guerra Tita sono venduti a 33 paesi, fra cui Nigeria, Etiopia e Qatar e recentemente è stato stipulato un accordo con l'Arabia Saudita per un importo da 3 miliardi di dollari. I droni Tita costano meno dei rivali occidentali e si sono rivelati molto efficaci sul campo di battaglia, impiegati - ad esempio - dall'Azerbaigian nella seconda guerra del Nagorno - Karabah contro l'Armenia, dall'Ucraina nella guerra in corso e dallo stesso esercito turco e dai suoi alleati nelle guerre civili di Siria e Libia. In sostanza Baykar rappresenta uno strumento della politica internazionale della Turchia che - in questo momento - ha tutto l'interesse a tenere in bilico la situazione nell'area nevralgica medio-orientale e africana anche per ragioni di carattere commerciale; 2) La questione tecnologica. Andranno verificate le intenzioni dei dirigenti turchi sul "preservare l'identità storica di Piaggio". Non è questione semplicemente di richiedere chiarezza sugli eventuali piani industriali. Il punto risiede sullo sviluppo della capacità tecnologica dello stabilimento Aerospace in rapporto al tipo di produzione che sarà sviluppato: ristrutturazione delle linee, sedi di elaborazione dello sviluppo tecnologico. Sono questi i nodi del tipo di sviluppo produttivo che si intende perseguire da cui dipendono - ovviamente - i livelli occupazionali. Senza contare come si presenti un problema di indotto e di eventuale adattamento.
Appare fin troppo evidente che siamo ad un delicatissimo passaggio nella stessa prospettiva economica e produttiva della provincia di Savona: un passaggio che (considerati anche i ritardi accumulati con la debolezza dimostrata dal progetto di crisi industriale complessa che ha lasciato in sospeso il tema della reindustrializzazione della Val Bormida e del Vadese) potrebbe anche rappresentare un momento di definitiva cesura in una prospettiva di recupero industriale necessario per far sì che la provincia di Savona non sprofondi definitivamente in logiche di servizio speculativo, corporativo, di "lavoro povero".
Egualmente non si può dimenticare come da un lato ci preoccupi di autocrazie e riarmo mentre si lasciano passare riconversioni industriali di questo tipo gestite da Paesi nei quali la definizione di democrazia è davvero molto opinabile e relativa.